L’uso crescente dei farmaci per il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (Adhd) risulta associato a benefici concreti nella vita quotidiana, tra cui la prevenzione di comportamenti a rischio come l’autolesionismo, gli incidenti stradali e le condotte antisociali. Ma se da un lato le ricerche più recenti confermano benefici concreti, dall’altro emerge con chiarezza un progressivo indebolimento dell’efficacia complessiva, parallelamente all’espansione delle prescrizioni.
È quanto emerge da un nuovo studio condotto su quasi 250 mila pazienti osservati per oltre quattordici anni. Lo studio arriva in un momento in cui l’aumento delle prescrizioni per l’Adhd è oggetto di dibattiti. In Svezia, dove è stata condotta la ricerca, l’uso di farmaci specifici è quasi quintuplicato negli ultimi vent’anni, passando dallo 0,6% al 2,8% della popolazione. Il Paese presenta oggi alcuni dei tassi diagnostici più alti a livello mondiale.
I RISULTATI DELLO STUDIO SVEDESE
Pubblicata su Jama Psychiatry, l’indagine ha esaminato i dati sanitari di persone tra i 4 e i 64 anni che hanno assunto farmaci per l’Adhd tra il 2006 e il 2020. È stato utilizzato un modello noto come “self-controlled case series”, che confronta i risultati di ogni singolo paziente nei periodi in cui era in terapia con quelli in cui non lo era. Tale approccio consente di eliminare i fattori individuali che potrebbero influenzare i comportamenti in modo indipendente dalla terapia farmacologica, isolandone così gli effetti reali.
Durante i periodi di assunzione dei farmaci si è registrata una riduzione del 23% degli episodi di autolesionismo, del 14% degli incidenti stradali e del 17% dei comportamenti criminali rispetto ai periodi senza trattamento.
Tuttavia, secondo gli autori, questi effetti si sono attenuati nel tempo, in parallelo con l’aumento delle prescrizioni. I farmaci considerati — principalmente stimolanti come metilfenidato e amfetamine — agiscono aumentando i livelli di dopamina e noradrenalina, neurotrasmettitori essenziali per la concentrazione e il controllo degli impulsi.
DIMINUZIONE DELL’EFFICACIA: POSSIBILI CAUSE
Lo studio evidenzia che, sebbene gli effetti dei farmaci si siano mantenuti lungo l’intero periodo di osservazione, la loro intensità è progressivamente diminuita. Questo trend potrebbe riflettere l’estensione delle diagnosi anche a soggetti con manifestazioni più lievi del disturbo, con una conseguente riduzione dell’efficacia media dei trattamenti.
Secondo il dottor Rahul Bansal, psichiatra abilitato per pazienti pediatrici e adulti, non coinvolto nella ricerca, «l’aumento delle prescrizioni, soprattutto tra adulti e donne, riflette una maggiore capacità di riconoscere casi precedentemente trascurati e un’evoluzione nei criteri diagnostici». A sua volta, ha osservato come in passato l’Adhd fosse spesso sottovalutato nelle donne, mentre oggi, con una consapevolezza più diffusa, le diagnosi si estendono anche a soggetti con manifestazioni più lievi.
DUBBI SULLA QUALITA’ DELLE DIAGNOSI
L’aumento delle prescrizioni ha sollevato interrogativi anche sulla valutazione diagnostica. Negli Stati Uniti si stima che l’Adhd riguardi l’11,3% dei bambini tra i 5 e i 17 anni, con una prevalenza maggiore nei maschi (14,5%) rispetto alle femmine (8%). Circa il 6% degli adulti convive con la condizione.
Secondo il professor Cooper Stone, docente di psichiatria clinica all’Università della Pennsylvania, la questione non riguarda solo l’efficacia clinica, ma chiama in causa anche il modo in cui l’Adhd viene oggi diagnosticato. La crescita marcata delle prescrizioni, in particolare tra adulti e donne — categorie storicamente meno rappresentate nelle statistiche ufficiali — riflette probabilmente un recupero delle diagnosi non rilavate in passato. In aggiunta a ciò, molte prescrizioni provengono oggi dai medici di base, i quali, a causa del tempo limitato e della formazione specifica non sempre adeguata, potrebbero effettuare valutazioni semplificate. Non va poi trascurato l’impatto delle campagne di sensibilizzazione, specie sui social media, che hanno contribuito a diffondere maggiore attenzione sul tema, ma anche informazioni fuorvianti: «Il risultato è che un numero significativo di persone che altrimenti non si sarebbe mai rivolto a uno specialista decide di sottoporsi a una valutazione e, in molti casi, riceve una diagnosi». Inoltre i farmaci per l’Adhd sono diventati altamente richiesti, e alcune aziende sono finite sotto inchiesta per aver agito di fatto come «distributori di farmaci su richiesta».
Secondo il dottor Bansal, «questa dinamica, unita a un marketing farmaceutico aggressivo, aumenta il rischio di sovradiagnosi e rischia di sminuire la gravità del disturbo per chi necessita davvero del trattamento».
ALTERNATIVE TERAPEUTICHE NON FARMACOLOGICHE
Pur confermando l’efficacia dei farmaci, lo studio svedese riapre il dibattito sulla necessità di affrontare le cause alla base del disturbo prima di ricorrere alla terapia farmacologica. Tra gli approcci alternativi riconosciuti figurano la terapia comportamentale, la terapia cognitivo-comportamentale, l’esercizio fisico regolare e le tecniche di mindfulness.
Secondo la neuropsicologa Sanam Hafeez, «questi interventi aiutano il cervello a sviluppare la capacità di interrompere l’azione prima di compierla, un’abilità particolarmente utile nei casi di impulsività». Pratiche come la respirazione guidata e la meditazione aiutano a mantenere l’attenzione sul momento presente, riducendo la distrazione. La dottoressa Hafeez ricorda che l’attività fisica aumenta naturalmente i livelli di dopamina e noradrenalina: «Anche brevi sessioni quotidiane possono migliorare la chiarezza mentale e l’umore».
Secondo la dottoressa Aruna Tummala, psichiatra olistica e fondatrice di Trinergy Health nel Wisconsin, l’Adhd non è una vera diagnosi, bensì un insieme di sintomi. A suo avviso, ogni malattia, compreso l’Adhd, ha tre cause principali: alimentazione e stile di vita, traumi e tossine. «Il cervello Adhd è un cervello infiammato, traumatizzato, carente di nutrienti e intossicato […] Quando si interviene su questi fattori, i sintomi tendono a risolversi».
NECESSITA’ DI UNA VALUTAZIONE ACCURATA
Lo studio conferma che i farmaci per l’Adhd possono contribuire a ridurre rischi significativi, ma sottolinea l’importanza di una diagnosi accurata e di un impiego appropriato delle terapie, soprattutto in un contesto in cui il numero di prescrizioni è in rapido aumento.
Per chi desidera ridurre la dipendenza dal trattamento farmacologico, il professor Stone consiglia di iniziare da un sonno adeguato, poiché l’insonnia non trattata può avere sintomi simili all’Adhd. Raccomanda inoltre esercizio fisico regolare, dieta equilibrata e integrazione di acidi grassi omega-3, pur precisando che i benefici di queste misure risultano spesso «modesti». «È importante ricordare che l’Adhd è un disturbo del neurosviluppo», ha concluso. «Alcuni interventi possono migliorare i sintomi, ma non rappresentano una cura»; infine ribadisce l’importanza una valutazione completa per escludere condizioni diverse che possono presentarsi con sintomi simili, come l’apnea ostruttiva del sonno, ma che richiedono trattamenti differenti.
Le informazioni e le opinioni contenute in questo articolo non costituiscono parere medico. Si consiglia di confrontarsi sul tema col proprio medico curante e/o con specialisti qualificati.