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Cosa significa essere un artista di Shen Yun

25 Agosto 2024

A due ore da Manhattan, nel profondo delle colline, un campus di 400 acri per le arti dello spettacolo riporta l’orologio indietro di mille anni, all’antica dinastia cinese Tang.

I ballerini si svegliano per una nuova giornata di stretching, salti e perfezionamento delle tecniche, corrono intorno al lago e finiscono al sorgere del sole.

Siamo a “Dragon Springs”, è quello che Marilyn Yang, prima ballerina della Shen Yun Performing Arts, chiama “casa”: «Non c’è un altro luogo al mondo simile a questo, qui ci sentiamo in armonia».

In questo luogo prevale la serenità, e l’affinamento dell’arte è al centro di tutto. Dall’estate all’inizio dell’inverno, i ballerini provano insieme sincronizzando le proprie rappresentazioni fino all’ultimo dettaglio; le orchestre, i costumi, gli sfondi animati e tutti gli oggetti di scena sono riuniti in preparazione per le tournée nei cinque continenti, mostrando quella che Shen Yun descrive come «la Cina prima del comunismo».

Un sogno americano

Shen Yun è nato nel 2006 da un gruppo di artisti perseguitati in Cina. Il regime comunista, infatti, controlla strettamente l’informazione: «Si tratta di un vero e proprio controllo mentale», dice il direttore d’orchestra Chen Ying, «Per ottenere il quale il Pcc deve eliminare tutto il resto». Il padre, è stato per oltre 30 anni membro dell’Orchestra Filarmonica Centrale cinese. Padre e figlio, insieme a un piccolo gruppo di artisti cinesi di formazione classica, aspiravano a eliminare gli elementi moderni e comunisti nell’arte, e a presentare il patrimonio tradizionale nella sua forma più originale.
Quasi due decenni dopo, il loro sogno è diventato realtà.

«È come una boccata d’aria fresca uscire dalla Cina, dove si ha paura di dire quello in cui si crede veramente», dice il primo ballerino William Li. «Ma in America si può parlare liberamente».

«Questo è il sogno americano: sei un rifugiato, arrivi in America, inizi con niente e costruisci la tua azienda; ricostruisci tutta la tua vita da zero. L’America è davvero un posto straordinario!».

Un viaggio di umiltà

Liu Mingye è stato tra i primi a frequentare l’accademia di danza di Shen Yun.

«Ho pensato che fosse una causa molto, molto nobile» dice. «Non so per quanto tempo l’avrei fatto, ma ho pensato che fosse l’occasione della vita. Andiamo, semplicemente andiamo e basta».

Liu si riteneva più che preparato per le sfide di tipo fisico. La precoce esposizione alle arti marziali gli ha fornito una buona preparazione per i fondamenti della danza, in particolare per quanto riguarda la flessibilità e la resistenza. Essendo sempre stato in grado di imparare in fretta, è riuscito a praticare rapidamente le combinazioni di danza più complesse, mentre gli altri si bloccavano sulle tecniche più semplici.

«È facile», pensava a quel tempo, ricordando la sua stanchezza nel mantenere la posizione del cavaliere nelle arti marziali. «È più difficile di tutto quello che stiamo facendo, e conosco tutte queste tecniche».

Liu si è distinto rapidamente, ma non nel modo in cui si aspettava.

William Li (a sinistra) si esibisce durante uno spettacolo. Per gentile concessione di Shen Yun Performing Arts

«Mi correggevano spesso», ha raccontato. Aggiungendo che questo avveniva ripetutamente e su tecniche in cui pensava di essere bravo. Una battuta troppo in ritardo, un’altra troppo in anticipo, un’energia sbagliata.

Le esplosioni di energia e rapidità che erano state il suo segno distintivo e il suo orgoglio, erano diventate un ostacolo. Padroneggiare l’arte della grazia significava cambiare tutto quello che era «incorporato» in lui, rallentare ogni movimento delle braccia, ogni passo, «mantenersi in aria».

La sua mente e il suo corpo erano in conflitto: «Mi sentivo proprio rigido. Mi sentivo come se fossi bloccato. Lottanvo contro il mio stesso corpo».

Un processo doloroso

Questo dolore, simile a una metamorfosi, è quello che anche i migliori artisti attraversano a Shen Yun.

Loro lo chiamano lasciare andare: liberarsi di tratti come l’egoismo e il desiderio di comodità, ma soprattutto dell’ego: «Se sei una persona con un ego, ti distingui subito»,  dice Piotr Huang, primo ballerino. Lui era quel tipo di persona: si era creato una barriera protettiva, credendo servisse «fare il duro» per sopravvivere. Negli studi di danza, chiudeva le porte e si dedicava agli allenamenti; nella danza come nella vita era riservato ma di mentalità forte: finché pensava di essere nel giusto, «nient’altro contava».

Ma un infortunio durante il suo primo anno come primo ballerino gli ha fatto cambiare prospettiva. Durante la tournée a Sydney, si è slogato l’alluce destro. Non era più in grado di continuare, e a metà esibizione è stato sostituito.

Questo episodio e il modo in cui la troupe si applaudiva a vicenda dietro le quinte alla fine dell’esibizione, lo hanno colpito: «Tutto è andato avanti, anche senza di me» e aggiunge: «Non importa quanto tu sia bravo, né se sei primo ballerino: una persona da sola non può fare un intero spettacolo. Sei bravo solo perché hai intorno a te altre persone che ti rendono bravo».

Oggi, si identifica con il personaggio mitico che doveva rappresentare: il Re Scimmia, un personaggio indisciplinato e combina guai, che impara a usare a fin di bene i propri poteri durante un viaggio per riportare le scritture buddiste dall’India. Si rispecchia nella scimmia armata di bastone: «Io pensavo di poter conquistare il mondo, ma alla fine «ti rendi conto che sei solo un essere umano. Non sei nessuno senza le persone che ti circondano».
Il
lasciar andare lo ha aiutato a conquistare qualcosa di più prezioso: « è stata una lezione di vita. A volte, è il processo per arrivare la cosa che ha più valore».

Un pesciolino in un grande lago

Da giovane, Alison Chen era attratta dall’arte tradizionale cinese. Copiava i movimenti dai video di danza cinese e comprava Cd di musica cinese per ascoltarli tutto il giorno.

«Quanto sarebbe bello se ci fosse anche il mio nome!» pensava Chen guardando il programma di Shen Yun al War Memorial Opera House di San Francisco nel 2007. A quel tempo, stava studiando danza con un ex insegnante di opera di Pechino. Dopo pochi mesi si è iscritta alla Fei Tian Academy of the Arts, dove in seguito si è presentata l’opportunità di effettuare una tournée con Shen Yun e ottenere crediti formativi accademici.

Una scena dello spettacolo «L’Imperatore Tang e Lady Yang» –  Shen Yun 2023. Foto: Shen Yun Performing Arts

Alison era la ballerina più bassa del gruppo. Nelle esibizioni che richiedevano un’elevata sincronia, i coreografi la mettevano al centro per dare uniformità.

«È stata una situazione di “lotta o fuga” per tutta la mia carriera» racconta. «Era la tipica storia di una ragazzina bassa che in qualche modo è sopravvissuta».

Quello che le mancava in altezza, l’ha compensato con la massima versatilità. Si era prefissata di imparare qualche tecnica in ogni tournée; in una scena, ha aggiunto una giravolta per rappresentare meglio la sofferenza di una ragazzina sotto il sole cocente. Ai direttori è piaciuto così tanto che hanno mantenuto la modifica; ma è entrata nel cast principale solo dopo diversi anni. Ma a quel punto, essere in prima pagina non era più il suo obiettivo: «Io sono solo un pesciolino in un immenso oceano… Ti muovi insieme a tutti gli altri e segui il flusso con tutti gli altri, ed è una cosa bellissima» spiega. «Non devi preoccuparti troppo di dove andrai, segui semplicemente il corso naturale.  C’è una direzione naturale che ti porterà da qualche parte».
Tra i suoi ricordi più cari c’è la chiusura del sipario durante uno dei suoi primi spettacoli. Salutando dal bordo del palcoscenico, ha incrociato lo sguardo di una donna della prima fila che teneva in braccio il suo bambino. Non potendo applaudire come tutti gli altri, la donna continuava ad annuire a lei dicendole «Grazie», nel raccontarlo si commuove.

«Cominci a capire che la tua vita non riguarda solo te. Io posso vivere la mia vita in un modo che sia di beneficio anche per gli altri, e per donare qualcosa alle persone che mi circondano. Anche a dei perfetti sconosciuti».

«Essere in grado di dedicare il proprio cuore all’arte che si sta praticando e dare agli altri qualcosa di magnifico da guardare, un ricordo che possano rivivere. È stato allora che ho realizzato che… veramente ne vale la pena».

Una svolta

Lo spirito di speranza che attraversa Shen Yun ha dato alla violista Rachel Chen una spinta in un momento in cui era alle prese con la guida della sua sezione. Nel pezzo, i musicisti dovevano rappresentare una passione sfumata sotto una calma superficiale.

Per mesi il gruppo ha provato senza riuscire ad ottenere il risultato voluto. Chen, una perfezionista che aveva segnato meticolosamente ogni punto da aggiustare, aveva deciso di provare qualcosa di diverso: incanalare le buone qualità del suono di ciascun membro per fonderle il un unico suono.

Il risultato è stato una «svolta di 180 gradi».

«È stato molto ispirante vedere questo cambiamento, semplicemente modificando mentalità», ha raccontato. L’ha preso come un “segno” che il suo non fosse l’unico approccio: «Devi cambiare te stessa per aprire nuove porte». L’arte, prosegue, è un riflesso del carattere degli artisti. «Si vuole che il pubblico esca con un sentimento di speranza, ispirazione e felicità». E questo, afferma, comincia con un «cuore altruista».

Alison Chen, il cui amore per la danza l’ha portata dalla California a New York, ora trasmette questa passione come insegnante. Accompagna le allieve a esibirsi in eventi comunitari e nelle scuole locali. Non è un palcoscenico mondiale, precisa, ma i sorrisi sui volti di chi la circonda sono una ricompensa sufficiente.

È riconoscente per gli anni trascorsi come ballerina di Shen Yun, che le hanno permesso di «entrare nella cultura cinese» e di vedere come le persone nell’antichità si comportavano di fronte alle avversità.

«Shen Yun ti ricorda che puoi scegliere di essere una persona migliore. Puoi scegliere di vivere la tua vita in modo più ottimistico!».

Niente primedonne

Nel tempo, la comunità di Shen Yun è rimasta molto unita.

I ballerini principali allenano i meno esperti. Nelle quinte, tra uno spettacolo e l’altro, si augurano buona fortuna a vicenda. Terminati gli spettacoli, cantanti, direttori e ballerini danno tutti una mano a smontare. Gli artisti la descrivono come una cultura «senza primedonne».

«Non si è mai troppo importanti» afferma Li.

Elogi? Alcuni potrebbero dire che le lodi sono «rumori»: «Non ti entrano nemmeno in testa» dice la ballerina veterana Angelia Wang . «Non pensi nemmeno di essere così grande».

Poco dopo la chiusura del sipario, Huang stanco si toglie il trucco, indossa abiti normali e si confonde tra le persone che lasciano il teatro.

È un momento speciale per Huang, un modo per rigenerarsi.

Tutt’intorno, le persone tengono in mano gli opuscoli del programma e parlano con entusiasmo di quello a cui hanno appena assistito. Nessuno lo riconosce, ma non importa.

«Non si tratta di te» dice. «L’intero spettacolo non riguarda te. È un lavoro di squadra. È questo che mi piace».

Il sipario finale del tour 2024 al Palace Theatre di Stamford, Conn. il 10 maggio 2024 (Larry Dye/The Epoch Times)

 

Estratto da: What It’s Really Like to Be an Artist at Shen Yun