Le recenti dichiarazioni del ministro degli Esteri israeliano Gideon Sa’ar hanno riacceso il dibattito sul futuro delle alture del Golan, una regione strategica contesa tra Israele e Siria da decenni. Sa’ar ha affermato che un eventuale accordo di pace con la Siria potrà realizzarsi solo a condizione che il controllo israeliano sulle alture rimanga invariato. Questa posizione ha incontrato un netto rifiuto da parte dei siriani originari delle alture, noti come “golaniti”, le cui famiglie furono sfollate durante la guerra dei Sei Giorni nel 1967.
Ma’mar Faisal Nahar, siriano originario delle alture del Golan e fondatore del Golan Forum for Construction and Development, ha dichiarato che è in corso la creazione di un organismo civile-politico indipendente – per rappresentare gli interessi dei residenti del Golan nei confronti del governo siriano, e per partecipare a futuri negoziati con Israele – sottolineando l’intenzione di collaborare con organismi internazionali per chiedere l’attuazione delle risoluzioni Onu relative alla restituzione dei territori occupati.
Tra le principali richieste avanzate vi sono il riconoscimento internazionale dei diritti degli abitanti del Golan, la restituzione delle terre e un risarcimento per i danni subiti dal 1967. Inoltre, si propone l’indizione di un referendum a livello nazionale per decidere se autorizzare il governo siriano a condurre negoziati con Israele. Queste rivendicazioni trovano eco in esponenti come Hasham Musa al-Numan, che sottolineano come le affermazioni israeliane contrastino con il diritto internazionale, in particolare con la Risoluzione 497 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, che definisce il Golan territorio siriano occupato. Da parte siriana, quindi, emerge un impegno costante per il diritto al ritorno e il rifiuto dell’occupazione.
I dati storici ricordano che, prima del conflitto del 1967, circa 153 mila persone vivevano sulle alture del Golan, di cui oltre 13o mila sono state costrette a lasciare le proprie abitazioni durante e dopo la guerra. Oggi la comunità degli sfollati supera i 500 mila individui, molti dei quali residenti nell’area di Damasco e nel sud della Siria.